Di Daniele Trabucco (*), Belluno 14 febbraio 2021 - Si ripete, spesso, che le Costituzioni moderne sono il risultato dell’esercizio del potere costituente.
Il potere costituente, in una prima approssimazione, può essere definito come quella potestà, esercitata volta a volta da soggetti diversi e con forme diverse, il cui risultato è una «determinazione costituzionale» (Carlo Lucioni), vale a dire un atto adottato da una comunità politica come propria legge fondamentale. In termini strettamente giuridici il potere costituente indica le condizioni della originaria validità di questa determinazione costituzionale, i presupposti in base ai quali a quest’ultima viene riconosciuto il carattere di norma positiva suprema, fondante un nuovo ordinamento (Mario Dogliani).
La possibilità di pensare il potere costituente trova il proprio presupposto nelle concezioni moderne di Costituzione e, di conseguenza, appare sulla scena giusfilosofica e politica relativamente tardi, solo a partire dal secolo XVII ed in forma ancora «embrionale».
Prima di allora la cultura medioevale intende la «Costituzione» semplicemente come insieme dei principi fondamentali incarnati dalle istituzioni, non posti, ma dedotti o astratti dalla reale situazione e dai suoi sviluppi. Di conseguenza, precisa il costituzionalista Mario Dogliani, una volta accolta questa idea di «Costituzione» come «descrizione del reale» non rimane alcuno spazio, in età medioevale, per la nozione giuridica di potere costituente nel senso sopra indicato. È solo con la modernità, a partire dalla teologia calvinista e puritana e poi soprattutto con la versione laica del giusnaturalismo di Grozio tra ‘500 e ‘600, che vengono poste le basi teoriche del moderno concetto di Carta costituzionale e, dunque, di potere costituente.
Infatti, è nell’idea del patto sociale, atto di volontà dei singoli individui mediante il quale viene istituita la società, che affonda l’idea della Costituzione come atto cronologicamente e giuridicamente anteriore alle istituzioni attraverso il quale queste ultime sono create e regolate. Se, dunque, quello medioevale era un ordine oggettivo e spontaneo, quello moderno è un ordine voluto, creato dal patto. Al contrario ogni decisione successiva, che viene presa dopo che il potere costituente si è esaurito, è sempre espressione del potere costituito. La funzione costituente, inoltre, è l’unica fra tutte le funzioni, ad «essere del tutto libera nel fine, perché nessuna regola preesistente la vincola» (Paolo Barile).
Il potere costituente è, dunque, un potere libero, è una situazione di fatto in cui non valgano né giudici, né legalità, ma solo i rapporti di forza (anche se non sempre è senza limiti.
L’esito del referendum istituzionale del 02 giugno 1946, quando il corpo elettorale italiano scelse la forma di governo repubblicana, pose un vincolo giuridico ben preciso all’Assemblea costituente). Esso fonda la propria origine sul principio della sovranità popolare e sul carattere contrattuale delle Costituzioni. Dall’analisi storica si può osservare che nel procedimento costituente l’iniziativa appartiene ad un’autorità straordinaria.
Essa può essere:
a) un organo ad hoc costituitosi per svolgere tale compito (ad esempio l’Assemblea costituente che, in data 22 dicembre 1947, ha approvato la Costituzione della Repubblica italiana vigente);
b) organi del precedente ordinamento costituzionale che esprimono la decisione politica di mutare la Costituzione non secondo le forme previste dall’ordinamento (si pensi agli Stati generali in Francia nel 1789 che, sebbene convocati dal Re Luigi XVI secondo le norme vigenti, si danno presto la qualifica di Assemblea nazionale costituente).
Questa «lettura» del potere costituente presenta però due contraddizioni di fondo ben evidenziate dal prof. Danilo Castellano dell’Università degli Studi di Udine nel suo saggio Costituzione e Costituzionalismo del 2013:
- Se il popolo è il detentore del potere costituente, il fondamento dello stesso come disse l’abate Sieyès(1748 – 1836), uno dei maggiori teorici della Rivoluzione francese, esso non è un qualsivoglia agglomerato di persone. I giuspositivisti definiscono il popolo l’insieme dei cittadini, benché poi lo riducano al solo corpo elettorale. Tuttavia, per avere i cittadini è necessaria l’esistenza dello Stato che «dà» la cittadinanza. In questo modo il potere costituente di cui sarebbe titolare il popolo viene esercitato in suo nome prima che esso (il popolo) esista;
- Ritenendo il potere costituente un fatto idoneo ad originare un ordinamento giuridico, le dottrine giuspositivistiche escludono che esso sia una «questione giuridica» e perciò la espellono dalla sfera del diritto. Il potere costituente rientrerebbe nell’ambito della politica intesa quale potere effettivo non qualificato e non qualificabile. La conseguenza è una «determinazione costituzionale» che sta in piedi unicamente sulla base del consenso come adesione senza argomenti ad un’opzione qualsiasi.
Ha ragione, dunque, Hegel quando, nei suoi Lineamenti di filosofia del diritto del 1820, ritiene la questione «priva di significato». Il potere costituente, infatti, sarebbe un fatto per i positivisti, non un autentico potere, ed una pretesa di onnipotenza per i pensatori classici. Ora, non si può negare che sia prima di tutto un potere umano, vale a dire deve comandare di fare o non fare unicamente in vista del bene naturale dell’uomo.
È un potere ordinatore, ossia non il potere di «fare» la Costituzione, ma il potere di trovare ed eventualmente di elaborare nelle contingenti situazioni storiche e sociali il bene comune. È il potere che si serve della Costituzione, come fonte superiore a tutte le altre, al fine di tutelare l’ordine naturale della comunità politica che non è mai creato artificialmente, ma sempre dato.
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(*) Prof. Daniele Trabucco
Associato di Diritto Costituzionale italiano e comparato presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/UNIB – Centro Studi Superiore INDEF (Istituto di Neuroscienze Dinamiche «Erich Fromm»). Professore universitario a contratto in Diritto Internazionale e Diritto Pubblico Comparato e Diritti Umani presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici/Istituto ad Ordinamento Universitario «Prospero Moisè Loria» di Milano. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico e titolare di Master universitario di I livello in Integrazione europea: politiche e progettazione comunitaria. Socio ordinario ARDEF (Associazione per la ricerca e lo sviluppo dei diritti fondamentali nazionali ed europei) e socio SISI (Società italiana di Storia Internazionale). Vice-Referente di UNIDOLOMITI (settore Università ed Alta Formazione) del Centro Consorzi di Belluno.